Obama ti ama
“Se hai problemi di salute ti mette in cooperativa”. Potrebbe essere uno degli aforismi della rubrica “Obama ti ama” pubblicata con successo da Internazionale. Anche perché la sentenza è ambivalente. Da una parte si riferisce al tentativo di garantire un’assicurazione sanitaria a milioni di cittadini che ne sono esclusi. Dall’altra potrebbe apparire come una minaccia neanche troppo velata per una cultura fondata sull’esercizio di libertà individuali e che quindi vede con sospetto ogni forma di “collettivizzazione” dei diritti. Non è un caso che “socialista” sia una delle accuse preferite dagli oppositori al progetto.
Se però si gratta via la patina ideologica emergono questioni rilevanti di una issue politica che è centrale per la nuova amministrazione. La principale riguarda la gestione del processo di mutualizzazione che dovrebbe portare alla costituzione o al rafforzamento delle cooperative sanitarie. Anche perché fino ad oggi le indagini nordamericane si sono concentrate più sul fenomeno opposto, ovvero la de-mutualizzazione delle cooperative e sulla loro deriva tecnocratica o “aziendalista”.
Quali sono dunque i principali elementi di attenzione rispetto ad un’operazione di per sé complessa e che per di più richiede tempi di attuazione non biblici, pena la rivincita delle lobby tradizionali? Come è possibile, in altri termini, accelerare senza snaturare in senso statalista o neo mercantile il percorso di aggregazione di milioni di cittadini, molti dei quali vivono situazioni di forte disagio? Guardando in chiave storica all’evoluzione del movimento cooperativo, ben presente peraltro anche negli Stati Uniti, emergono, fra gli altri, due fattori chiave. Il primo è la consapevolezza dei promotori rispetto ai loro bisogni (elemento da non dare per scontato quando si parla di povertà immateriali e bisogni complessi), ma anche delle risorse, per quanto residuali, di cui sono portatori. Questo è un primo importante passo per la costituzione di imprese con una mission ben definita e dove i proprietari sono tali, cioè sanno assumersi ben precise responsabilità. Il secondo elemento che può aiutare lo sviluppo cooperativo è l’ideologia, ovvero un orizzonte culturale e valoriale che ispiri le azioni dei soci e degli amministratori nel medio lungo periodo. Tutta la storia della cooperazione si caratterizza per un rapporto stretto – a volte anche eccessivamente – con ben precise matrici ideologico / culturali. Nell’esperienza passata le chiese e i partiti hanno svolto questo ruolo, oggi poco (o per nulla) proponibile. Forse in un contesto come quello statunitense un riferimento ancora ricco di significati potrebbe venire dalla reinterpretazione dei principi costituzionali che sono alla base del loro patto sociale. La libertà, il benessere, la felicità delle persone forse non sono solo un fatto individuale ma obiettivi perseguibili anche in forma associativa. Niente di nuovo sotto il sole. Non era forse Tocqueville che oltre un secolo e mezzo fa vedeva nel fiorire delle forme associative la principale qualità della democrazia in america?
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